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Come provare l’abuso dei permessi 104
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Come provare l’abuso dei permessi 104

Sentenza Tribunale di Cassino n. 288 del 23 marzo 2021

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La pronuncia in commento muove dal licenziamento senza preavviso intimato da una Casa di Cura ad una propria dipendente per aver la stessa abusato del proprio diritto alla fruizione dei permessi ex art. 33 L. 104/92, così determinando la lesione irreparabile del vincolo fiduciario con il datore di lavoro.
La ex dipendente impugnava il licenziamento e il Tribunale di Cassino, nella prima fase sommaria, accoglieva il ricorso, ordinando la reintegrazione della lavoratrice nel proprio posto di lavoro e condannando l’azienda al risarcimento del danno.
Avverso tale pronuncia ricorreva in opposizione la Casa di Cura, difendendo il proprio operato e assumendo che il licenziamento fosse stato legittimamente irrogato sulla scorta di elementi indiziari gravi, precisi e concordanti, che deponevano univocamente in favore dell’illegittimità della condotta assunta dalla lavoratrice.
Difatti, veniva rilevato come la Clinica avesse incaricato un’agenzia di investigazioni al fine di accertare se, nel corso della fruizione dei permessi 104, la lavoratrice avesse prestato effettiva assistenza al di lei padre. Inoltre, all’esito della consegna della relazione investigativa da cui emergevano elementi di prova dell’abuso dei permessi, la Struttura presentava altresì denuncia-querela alla Procura della Repubblica, avendo tale condotta rilevanza penale.
Da entrambe le indagini era emerso come la lavoratrice non si fosse mai recata presso il domicilio del padre, tuttavia, non corso del giudizio, la ex dipendente assumeva che il predetto fosse stato temporaneamente collocato presso la propria abitazione, al fine di favorirne l’assistenza.
Pertanto, sebbene l’azienda avesse fornito prova del fatto che la lavoratrice non si fosse mai recata  presso l’abitazione del genitore nei periodi oggetto di accertamento, non era stato possibile acquisire una piena prova dell’assenza del padre dall’immobile della ex dipendente, ma esclusivamente elementi indiziari in tal senso, risultando tuttavia l’impianto carente di una prova certa di tale circostanza.
In particolare, dagli elementi istruttori acquisiti dal Giudice in base alle due indagini, era stato possibile accertare come le celle di aggancio delle telefonate effettuate dalle utenze in uso alla lavoratrice e al padre, risultassero sempre nell’ambito nei propri centri di residenza senza che mai si fossero spostate. 
Tuttavia, a fronte di tale evidenza, si rendeva necessario appurare l’effettivo utilizzo del numero da parte del padre, atteso che la SIM a questi in uso risultava intestata alla moglie. Un elemento in tal senso veniva ottenuto attraverso alcune testimonianze rese, nonché a mezzo dell’esame incrociato dei dati forniti dal padre in occasione di un suo precedente ricovero presso la Struttura sanitaria resistente, da cui poteva dedursi un uso in capo a quest’ultimo pressoché esclusivo dell’utenza telefonica investigata.
Inoltre, il Giudice riscontrava alcune discrepanze nella difesa assunta dalla lavoratrice in seno al procedimento disciplinare, rispetto a quanto dedotto in giudizio, avendo la stessa, come detto, rappresentato per la prima volta innanzi al Tribunale la presenza del padre presso la propria abitazione.
Orbene, il Giudice del Lavoro, effettuato un analitico esame delle allegazioni della Struttura e delle risultanze istruttorie, riteneva che gli elementi indiziari offerti dalla società datrice di lavoro avessero “quei caratteri di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla norma …” e che, pertanto, non potesse “che ravvisarsi l’ipotesi contestata dalla società datrice” e, per l’effetto, il comportamento tenuto dalla lavoratrice costituisse “uno sviamento dalla funzione tipica per la quale il permesso è stato concesso … atteso che il tempo di lavoro non prestato, ma retribuito, deve essere destinato all’assistenza del portatore di handicap con una presenza fattiva e costante”.
In altre parole, il Giudice sanciva che i permessi fossero stati utilizzati esclusivamente per finalità estranee alo loro scopo, ovvero per soddisfare esigenze del tutto avulse dalle necessità di assistenza, ritenendo pertanto sussistente l’abuso del diritto alla fruizione dei permessi ex art. 33 L. 104/92 sulla base di elementi indiziari, confermando, per l’effetto, il licenziamento intimato dalla Struttura.
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