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La mancata iscrizione all’Albo giustifica il licenziamento
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La mancata iscrizione all’Albo giustifica il licenziamento

Tribunale Civile di Roma, Sez. Lav. Decreto di rigetto del 9.10.2020

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale

Con il provvedimento in commento, il Tribunale Civile di Roma, ha affrontato il caso di un lavoratore licenziato per carenza del titolo abilitante alla professione all’esito delle novelle apportate dal legislatore alla disciplina delle professioni sanitarie.
Ed infatti, la legge 3/2018 (cd. legge Lorenzin) nell’istituire gli albi delle professioni sanitarie, ha obbligato il professionista ad iscriversi al relativo albo al fine di poter esercitare ed ha, inoltre, previsto una sanzione penale per “chiunque abusivamente eserciti una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato”, nonché disposto la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato.
Nel caso sub judice al lavoratore, massofisioterapista operante in una Struttura sanitaria, era stato erogato un licenziamento per giustificato motivo oggettivo a causa dell’impossibilità sopravvenuta di continuare ad avvalersi dell’attività prestata dal predetto.
In particolare, il lavoratore aveva svolto presso la Struttura privata accreditata l’attività di Educatore professionale sin dal 2016 e, all’esito della costituzione degli ordini professionali, aveva cercato di iscriversi agli stessi, tuttavia con esito negativo, non avendo titolo idoneo.
Attesa tale circostanza, l’azienda, anche al fine di non vedersi coinvolta in ipotesi di esercizio abusivo della professione con possibili ripercussioni sull’accreditamento, optava per la risoluzione del rapporto per giustificato motivo oggettivo e avviava il tentativo di conciliazione innanzi l’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ove, tra l’altro, offriva al dipendente la possibilità di mantenere il rapporto di lavoro con assegnazione a mansioni inferiori e con l’offerta di riammetterlo nella professione di educatore una volta acquisito il titolo per l’iscrizione all’albo.
Il lavoratore rifiutava l’offerta formulata e depositava ricorso presso il Tribunale Civile di Roma instando per l’annullamento del licenziamento irrogato ritenendolo nullo e discriminatorio e rappresentando come il motivo posto alla base del licenziamento fosse, in tesi, manifestamente insussistente.
Si costituiva l’azienda, chiedendo il rigetto integrale del ricorso ed assumendo di essersi vista “costretta a non poter utilizzare ulteriormente le prestazioni del ricorrente in forza di un mutamento delle norme di legge in materia di professioni sanitarie, che ha obbligato tutti coloro che esercitavano una professione riconducibile ai nuovi ordini professionali ad iscriversi agli stessi, per poter proseguire la propria attività”.
Il Tribunale Civile di Roma, dopo un ampio contraddittorio tra le parti, con Decreto del 09.10.2020 rigettava il ricorso del lavoratore così sancendo: “come correttamente dedotto dalla resistente la figura dell’EDUCATORE PROFESSIONALE è una professione sanitaria riabilitativa, distinta dalla MASSOFISIOTERAPIA, e che richiede l’iscrizione ad uno specifico albo istituito con la Legge n. 3/2018. Ed infatti, la professione di Educatore Professionale è stata ordinata con la legge n. 03/2018, la quale ha istituito all’interno del TSRM, l’Albo degli Educatori Professionali. Per l’iscrizione a tale Albo è stata poi ritenuta necessario Albo al possesso di una Laurea SNT-2. Tale laurea non è il diploma di laurea posseduto dal ricorrente né lo stesso risulta equipollente ai sensi del dm del 22 giugno 2016 … Il ricorrente non aveva quindi i titoli per poter essere iscritto all’albo degli Educatori sanitari, né aveva i requisiti per iscriversi agli elenchi ad esaurimenti istituiti per consentire un regime transitorio ai molti operatori sanitari che avevano operato fino alla modifica normativa senza avere il diploma di laurea richiesto. Sussiste quindi il giustificato motivo oggettivo della impossibilità sopravvenuta della prestazione posto a fondamento del licenziamento”.
Tale pronuncia si inserisce in un orientamento dei Giudici di merito che inizia a trovare stabilità nelle pronunce della Sezione Lavoro del Tribunale Civile di Roma. Ed invero, come già sancito nella Sentenza 6025/2019 (si veda il commento informaiop n. 332), è assolutamente legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un dipendente che, in virtù di modifiche della Legge di riferimento, non possa più esercitare la propria attività, ricorrendo tutti i presupposti della impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa.
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