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La disfatta non è della Calabria, ma dell'intero Paese
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La disfatta non è della Calabria, ma dell'intero Paese

Editoriale a firma del Presidente Paolini, pubblicato su Il Fatto Quotidiano, il 14 giugno 2019

Due storie concatenate sulla Calabria e sul Paese. La prima: una spietata guerra si sta svolgendo sulla pelle dei cittadini calabresi. Il commissariamento del servizio sanitario (cioè di tutto ciò che muove soldi in Calabria insieme alle opere pubbliche) a tutto guarda tranne che alla salute dei calabresi. Nessuna idea sul potenziamento dei servizi di emergenza-urgenza e sull'efficientamento di quelli territoriali (ambulatori, medici di famiglia, laboratori, specialistica): nessuno - né il ministro, né i sottosegretari, né i commissari, non il presidente della Regione, neanche i sindaci - dice niente su come far rimanere in Calabria i soldi e i malati che sono consapevolmente, dolosamente espulsi, mandati a curarsi in altre regioni. Una vergogna che costa ai calabresi 300 milioni all' anno. È la questione gravissima del ceto politico e dirigenziale della regione. E qui comincia la seconda storia. La rinascita di un popolo, quello calabrese, paradigma di un Paese in ginocchio, non passa attraverso la dichiarazione di incostituzionalità di un decreto di commissariamento che espropria le istituzioni delle loro legittime funzioni, ma attraverso la riqualificazione della propria classe dirigente, che ha perso ogni contatto con i cittadini e ha raggiunto ormai un tale livello di decozione politico-morale da renderla scollata dalla realtà. Se il cittadino non sa cosa fare della scheda elettorale da cosa dipende? Lasciando da parte le superficiali disamine del giorno dopo, non possiamo non dire che dipende dalla legge elettorale che ha scientemente reciso ogni legame tra elettori ed eletti, creando il sistema dei nominati e consolidando un ceto politico autoreferenziale che risponde non ai cittadini ma ai capipartito. La Corte costituzionale ha già dichiarato incostituzionale una prima legge elettorale (il Porcellum) invitando il Parlamento a farne un' altra che tenesse conto della necessità di rispettare la connessione tra l' espressione di voto e il sistema di elezione. Allora il Parlamento dei nominati ne ha fatta un' altra, peggiore, l' Italicum, abbinandola finanche a una sedicente riforma costituzionale fatta per annullare definitivamente le elezioni, la Corte costituzionale e il Senato. E qui oltre alla Consulta (con una nuova dichiarazione di incostituzionalità) sono intervenuti venti milioni di italiani che hanno sonoramente bocciato il referendum proposto dagli statisti Renzi e Boschi con la pletora di nominati al seguito. Dimostrazione plasticamente chiarissima che il Parlamento (dove la riforma aveva avuto una larga maggioranza) è lontano anni luce dal comune sentire del Paese. Ma gli occupanti hanno spudoratamente prodotto l' ennesima legge elettorale che premia e consolida lo schifo (non v' è altro modo per definirlo) delle nomine: il Rosatellum. Che sarà dichiarato incostituzionale anch' esso, rendendo chiara una surreale spirale di leggi incostituzionali fatte solo per inchiodare i nominati alle loro poltrone. Insomma, il vecchio sistema proporzionale puro con le preferenze assicurava un contesto istituzionale stabile e controllabile dagli elettori. Questo attuale papocchio ci porta a tollerare, senza un plissé, che un organo istituzionale come un Consiglio regionale sia ridotto al silenzio e all' inutilità, sostituito da commissari nominati dal governo. Siamo nel '19; le elezioni sono una farsa, le istituzioni mortificate, serpeggia un certo razzismo e si affermano gli uomini soli al comando: precisamente di quale secolo parliamo? Poi, riprendendoci dalla strana sensazione e rendendoci conto di essere nel Ventunesimo, pensiamo che, poiché il ventennio l' abbiamo già subito anche in questo secolo, adesso occorre una resistenza culturale e politica volta a respingere questo pericolosissimo attacco alla democrazia.
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