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Il licenziamento per giusta causa e la valutazione complessiva della condotta del lavoratore
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Il licenziamento per giusta causa e la valutazione complessiva della condotta del lavoratore

Tribunale di Roma: Decreto di rigetto n. 12721 del 7.2.2019 (G.I. Dott.ssa Bajardi)

Sonia Gallozzi, Consulente giuslavorista della Sede nazionale

La pronuncia in commento affronta il caso di una Casa di Cura, che, all’esito di ben sette contestazioni disciplinari, valutata la condotta complessiva del dipendente, tecnico di radiologia, intimava a quest’ultimo il licenziamento per giusta causa.
Con ricorso, il lavoratore chiedeva al Giudice di dichiarare l’illegittimità del licenziamento irrogatogli, lamentandone il carattere ritorsivo e comunque l’assenza di giusta causa, e, per l’effetto, ordinare la reintegrazione nel posto di lavoro, oltre risarcimento del danno.
Resisteva la Casa di Cura che offriva al Giudice un’approfondita ricostruzione dei fatti da cui emergeva un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti, tanto più alla luce della natura recidivante della condotta contestata.
In particolare, per ciò che qui rileva, la Struttura evidenziava innanzitutto come, per ben due volte, avesse contestato illeciti disciplinari, optando tuttavia per non adottare provvedimenti disciplinari; dopodichè il dipendente si era reso protagonista, nell’arco di pochi mesi di una serie di infrazioni, che portavano dapprima all’irrogazione di un provvedimento sospensivo di cinque giorni e indi, per le ulteriori contestazioni, valutate complessivamente, all’irrogazione del licenziamento per giusta causa, anche in considerazione della recidiva.
Il Giudice, ritenendo la causa documentale, rigettava il ricorso, richiamando in primo luogo il costante indirizzo giurisprudenziale secondo cui incombe sul dipendente, che assuma il carattere ritorsivo di un licenziamento, l’onere di allegare specificatamente le circostanze di fatto da cui dovrebbe desumersi il carattere ingiusto ed arbitrario dello stesso, il quale è tenuto alla “dimostrazione di elementi specifici, tali da far ritenere con sufficiente certezza l’intento di rappresaglia, il quale deve aver avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà del datore di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione del provvedimento illegittimo” (Cfr. ex multiis Cass. 14319/13).
Sulla scorta dei cennati principi, il Giudice considerava dunque non assolto tale onere della prova, incombente sul ricorrente.
In secondo luogo, nella Decreto di rigetto, veniva evidenziato come la tolleranza del datore di lavoro di precedenti mancanze non implicasse acquiescenza preclusiva della possibilità di un licenziamento per eguale infrazione successiva, atteso “il presumibile progressivo abbassamento del limite entro il quale il datore di lavoro può essere indotto a tollerare la ripetizione di condotte antigiuridiche che lo legittimerebbero a recedere dal contratto”.
Il Giudice inoltre riteneva operante – diversamente da quanto dedotto dal ricorrente - la recidiva relativa al provvedimento disciplinare di cinque giorni di sospensione, sebbene impugnato innanzi il Ministero del Lavoro, e ciò anche ai sensi della pronuncia Cassazione civile, sez. Lavoro, 19 aprile 2016, n. 7719, la quale sanciva che “è corretto l’operato del giudice che ha compreso tra i comportamenti che hanno portato al licenziamento disciplinare per recidiva anche quelli sospesi in virtù dell’impugnazione da parte del lavoratore al Collegio”
Di particolare interesse risulta poi la questione affrontata dal Tribunale in ordine all’aver il lavoratore impropriamente utilizzato e posseduto sine titulo, della documentazione sanitaria della Struttura (precisamente un consenso informato), che aveva tentato di produrre in occasione di una audizione effettuata per un’altra contestazione, ciò con grave violazione del diritto alla privacy e alla riservatezza dei dati sanitari.
La documentazione fotocopiata dal ricorrente riportava infatti “dati sensibili”, ossia quei dati idonei a rivelare lo stato di salute dell'interessato che potevano essere trattati col consenso scritto dell'interessato e previa autorizzazione del Garante. O comunque il trattamento poteva essere consentito solo ove la situazione giuridicamente rilevante che si intendeva tutelare con la richiesta di accesso ai documenti amministrativi (mai effettuata) fosse stata di rango almeno pari ai diritti dell’interessato, ovvero consiste in un diritto della personalità o in un altro diritto o libertà fondamentale e inviolabile. Tra l’altro, in tema di documenti con dati sensibili, è fatto obbligo al medico di adottare ogni precauzione per garantire il segreto anche quando la comunicazione è indirizzata ad autorità/enti.
Altro punto trattato dal Tribunale riguardava l’aver il lavoratore reiteratamente rinviato l’audizione da questi richiesta, adducendo patologie psicologiche, circostanza puntualmente contestata al predetto dall’azienda. La struttura che, nel frattempo, aveva sottoposto il dipendente ad indagini investigative (ritenute anch’esse legittime dal Giudice), aveva comunque appurato che lo stesso, tranne che durante le fasce di reperibilità, conduceva una vita sociale molto attiva.
Il Giudice, valutate globalmente detti aspetti, sul punto dichiarava: “deve dunque ritenersi che nell’affermare che il ricorrente ha prodotto una certificazione medica attestante uno stato morboso non idoneo a determinare uno stato di incapacità a presenziare agli incontri dallo stesso richiesti e più volte fissati dall’azienda, e quindi a giustificare l’assenza a detti incontri, l’azienda non ha detto nulla di inesatto; tant’è che in quei giorni, ….è pacificamente più volte uscito di casa – prestando peraltro evidente attenzione alle fasce di reperibilità - e lo ha fatto anche per incontrare amici, frequentare per più di due ore la palestra, trascorrere la Vigilia di Natale con la madre. In effetti, non si pone quindi un problema di veridicità o meno dei certificati medici allegati con riferimento allo stato morboso riscontrato dal medico…,, ma a stessa certificazione…non appare affatto sufficiente a documentare in maniera idonea l’impossibilità per…. – anche alla luce della riscontrata, evidente attitudine dello stesso a condurre una vita sociale più che normale anche nei giorni interessati dallo stato morboso – a presenziare all’incontro per l’audizione disciplinare”.
Il Tribunale riteneva dunque detti rinvii puramente dilatori e strumentali.
Il decreto, preso atto della piena legittimità delle contestazioni, riguardanti – oltre a quelle citate - anche assenze a visite fiscali, concludeva per la piena legittimità dell’impugnata risoluzione evidenziando che “la valutazione della gravità dell’illecito (cui deve proporzionarsi la sanzione) deve anche rapportarsi alla qualità, all’importanza delle mansioni svolte dal lavoratore, essendo il giudizio di valore più negativo per i soggetti in elevata posizione funzionale che non per chi svolge funzioni meramente esecutive, nel quadro generale dell’organizzazione dell’azienda” (cfr. ex plurimis, Cass. 9.5.96 n. 4328), per cui una infrazione “modesta” operata da un dipendente d’ordine assumeva senz’altro il carattere della gravità se posta in essere da chi ricopriva un ruolo apicale.
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