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Trasformazione di contratti a tempo determinato
Tribunale Civile di Roma, Sez. Lavoro: Ordinanza del 6 agosto 2018
Sonia Gallozzi, Consulente giuslavoristico della Sede nazionale
La pronuncia muove da un ricorso presentato innanzi al Tribunale Civile di Roma, Sez. Lavoro, con cui il lavoratore impugnava un licenziamento per giusta causa, comminatogli per l’aver utilizzato delle espressioni inappropriate verso un superiore gerarchico.
Il rapporto di lavoro con l’azienda iniziava in data 22.04.2014 con un contratto a tempo determinato che poi veniva trasformato in tempo indeterminato su base volontaria. Il Giudice Dott.ssa Sigismina Rossi, prima di affrontare nel merito la questione relativa alla proporzionalità della misura adottata, analizzava la questione preliminare sollevata dal ricorrente in materia di regime applicabile, poiché la trasformazione era avvenuta successivamente al 7 marzo 2015, data d’entrata in vigore delle cd. tutele crescenti, ma il rapporto era iniziato precedentemente.
Secondo il Giudice, ferma restando l’applicazione della nuova disciplina alle assunzioni ex novo intervenute successivamente all’entrata in vigore del suindicato decreto, occorre distinguere tra le conversioni in senso tecnico (che comportano l’applicazione del cd. Jobs Act) e le conversioni in senso lato (che ne limitano l’operatività), ove il discrimen tra le due fattispecie sarebbe da rinvenire nella qualificazione del termine conversione.
Invero, nell’ordinanza si legge che “da un lato … il termine conversione richiama una figura giuridica che si rinviene sia nell’art. 1424 c.c. (il contratto nullo produce effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, se si accerta che le parti lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità), sia nell’art. 32 c.5 legge 183 2010 (contratto a termine nullo perché stipulato in violazione dei requisiti formali e sostanziali per l’apposizione del temine al contratto di lavoro), e che pertanto deve tenersi conto di tale puntualizzazione, contenuta nel D.Lgs 23/2015, dall’altro, che, a sua volta, la norma della legge delega citata da riferimento solo alle nuove assunzioni per circoscrivere il campo di applicazione del contratto a tutele crescenti”.
Alla luce di tale interpretazione il Giudice ha ritenuto di poter definire la conversione in senso tecnico quale l’evento giudiziale o stragiudiziale, con cui il rapporto viene convertito ipso iure, mentre afferiscono alla categoria della conversione latu sensu “tutte le ipotesi di semplice trasformazione, di fatto o con manifestazione esplicita di volontà, del rapporto … intervenute in modo che questo semplicemente prosegua, senza interruzione …”.
In altre parole, il Tribunale di Roma, sembra ricondurre nell’alveo di applicazione delle cd. tutele crescenti solo due fattispecie specifiche: le nuove assunzioni a tempo indeterminato avvenute dopo il 7 marzo 2015 e le conversioni di contratti a termine sorti prima di tale data e trasformati in maniera forzata in rapporti a tempo indeterminato, dopo l’entrata in vigore del Jobs Act.
Sembrerebbe, invece, di potersi escludere dall’ambito di applicazione delle nuove regole le trasformazioni a tempo indeterminato dei contratti a termine stipulati antecedentemente al 7 marzo 2015, effettuate su base volontaria.
Su tali presupposti, nel caso di specie, il Tribunale ha dichiarato illegittimo il licenziamento erogato al lavoratore, applicando le tutele previste dall’art. 18 della l. 300/1970.
L’ordinanza in commento, che costituisce un unicum, lascia non poche perplessità. Infatti, l’art. 1, comma 2 del D.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, che introduce le c.d. tutele crescenti, prevede che le disposizioni in esso contenute “si applicano anche nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”.
Dalla lettera della legge, sembra che il Tribunale Civile di Roma, nell’interpretare la norma, ne abbia offerto una esegesi piuttosto ingegnosa fondata sulla distinzione tra conversione e continuazione del rapporto non prevista dal legislatore. Pertanto, risulta auspicabile una riforma della pronuncia, di cui però si è, ad oggi, tenuti a dare atto.