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Legittimo il licenziamento del medico che effettui visite private non autorizzate durante l’orario di lavoro, con o senza fatturazione – falsa attestazione presenza in servizio
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Legittimo il licenziamento del medico che effettui visite private non autorizzate durante l’orario di lavoro, con o senza fatturazione – falsa attestazione presenza in servizio

Corte di Appello Sez. Lavoro G. Rel. Dott. Avolio – sentenza n. 1808 del 4 aprile 2024.

Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede nazionale

Con la recentissima pronuncia in commento la Corte di Appello Sezione Lavoro di Napoli ha affrontato il caso di un Medico responsabile dipendente di una struttura sanitaria accreditata campana licenziato per aver commesso una serie di violazioni e, nello specifico, aver effettuato visite private intramurarie nell’orario di lavoro, aver percepito denaro contante da pazienti privati nell’ambito dell’attività intra moenia senza comunicazione né autorizzazione, essersi allontanato in due occasioni dal luogo di lavoro e, con l’ausilio di terzi, aver provveduto alla falsa timbratura dell’uscita in orario successivo a quella effettiva.

Il lavoratore impugnava il licenziamento e, il Tribunale di Avellino, in prima fase, accogliendo parzialmente il ricorso introduttivo, dichiarava risolto il rapporto di lavoro, con effetto dalla data del licenziamento, e condannava la Casa di Cura al pagamento dell’indennità risarcitoria, liquidata in misura pari a 9 mensilità, poi elevata a 18 mensilità in fase di opposizione.

Il giudice di prime cure assumeva tale decisione, ritenendo sì che le condotte fossero gravi ma che, in concreto, la sanzione espulsiva non fosse proporzionata all’illecito alla luce delle caratteristiche concrete della condotta. Ed in particolare, per quanto riguardava la percezione del denaro contante dai pazienti privati, riteneva che tanto incidesse solo indirettamente sul rapporto di lavoro ricadendo, invece, sul distinto rapporto libero professionale relativo all’esercizio della professione intramuraria il quale era caratterizzato da uno speciale e meno intenso vincolo fiduciario; per quanto riguardava le visite private effettuate durante l’orario di lavoro, invece, l’incidenza era diretta avendo il medico distolto le energie lavorative dalla propria attività di lavoro subordinato; tuttavia non vi sarebbe stata prova dell’entità e della consistenza del pregiudizio non essendo possibile dall’istruttoria ricavare il numero di ore distolte dalle attività istituzionali; per quanto riguardava le false attestazioni dell’orario di uscita la gravità sarebbe mitigata dai gravi motivi personali che lo avevano indotto a tale condotta; in particolare l’allontanamento dal luogo di lavoro sarebbe stato causato alla necessità urgente di assistere la moglie malata di cancro.

La Casa di Cura ricorreva in appello spiegando diversi motivi di gravame che venivano integralmente accolti dalla Corte di Appello di Napoli, la quale, ritenendo “le condotte accertate …qualificabili come espressive di un disvalore così intenso da far ritenere compromesso il legame fiduciario” dichiarava sussistenti tutti gli elementi della giusta causa, essendo “le tre condotte, anche singolarmente considerate [...] tutte di gravità tale da giustificare la massima sanzione”.

Sanciva quindi la Corte, rispetto al primo capo della contestazione (effettuazione visite private, anche se regolarmente fatturate, durante l’orario di lavoro), che “La gravità di tale condotta, che consente la traslazione della fattispecie concreta da quella prevista alle lettere a) o b) del co. 6 [art. 11 -sanzioni conservative], a quella contemplata nella lettera A) del comma 7 [art. 11 sanzione espulsiva], appare di tutta evidenza se solo si consideri che nel caso de quo non si tratta di un mero allontanamento temporaneo dal lavoro, di una mera sospensione temporanea dell’attività, ma di una sospensione posta in essere per praticare attività medica privata; tanto comporta la sottrazione della prestazione alla società e trattandosi di una struttura convenzionata, la incisione degli interessi pubblici perseguiti dal Servizio sanitario nazionale. Inoltre, trattandosi di un allontanamento per l’effettuazione di visite private, il danno è maggiore perché, come è noto, la durata di una visita medica non può essere preventivata dovendo, per dovere professionale e deontologico, il medico fronteggiare tutte le evenienze e le esigenze del paziente che si presentassero durante l’effettuazione della prestazione. Cosicché, si tratta di una sospensione la cui durata non è preventivabile e che, quindi, lascia l’organizzazione del reparto o dell’ambulatorio in una grave e non tollerabile incertezza.”.

Quanto al secondo capo della contestazione (visite mediche private all’interno della struttura senza fatturazione), statuivano i Giudice del gravame: “L’art. 11, co. 7, lett. E) e H), infatti, prevede che “è consentito il licenziamento per giusta causa o giustificato motivo”, nel caso di “introduzione di persone estranee nella Struttura, senza giustificata motivazione”, nonché “per uso dell’impiego ai fini di interessi personali, svolgendo attività professionale a favore di pazienti privati all’interno della Struttura”. La condotta del medico che effettui visite private nella struttura senza fatturazione da parte dell’azienda viola contemporaneamente entrambe le previsioni contrattuali perché i pazienti privati, se esclusi dal circuito intramurario, nei confronti della struttura sono da qualificarsi come “persone estranee” e la necessità di visitarle privatamente non può di certo integrare una “giustificata motivazione”; al contrario la motivazione è illecita ai sensi della lettera H) perché il medico, in tal modo, usa il proprio impiego per perseguire interessi personali e viola direttamente la disposizione che fa divieto di visitare pazienti privati all’interno della struttura”. Specificavano ancora: “La sottrazione indebita di risorse e l’appropriazione delle quote economiche di spettanza della struttura anche in questo caso appare violare il minimo etico e, quindi, giustificherebbe il licenziamento a prescindere dalla espressa previsione in una fattispecie contrattuale”.

Quanto infine alla contestazione mossa all’ex dipendente per aver questi timbrato l’uscita in orario successivo rispetto a quello nel quale effettivamente si è allontanato dalla struttura, la Corte territoriale sanciva che “In relazione a quest’ultima l’art. 11, co. 7, lett. G) del CCNL prevede il licenziamento per il dipendente che “falsifichi le indicazioni del registro delle presenze o dell’orologio marcatempo o compia, comunque, volontariamente annotazioni irregolari su queste”. La condotta contestata, che il giudice di prime cure ha ritenuto accertata, […] rientra in maniera piana nella previsione contrattuale sopra citata. Nemmeno è condivisibile la motivazione del giudice di prime cure che ha ritenuto mitigati il disvalore e la gravità del fatto dai gravi motivi personali che lo hanno indotto a tale condotta; in particolare l’allontanamento dal luogo di lavoro sarebbe dovuto alla necessità urgente di assistere la moglie malata di cancro. La circostanza appare irrilevante perché ad essere contestato non è l’allontanamento dal luogo di lavoro prima della fine del proprio turno, ma il fatto che sia stato attestato un orario di uscita falso”.

Per tali motivi i Giudici di secondo grado accoglievano il reclamo proposto dalla struttura, confermando la legittimità del licenziamento con condanna del lavoratore alle spese del doppio grado di giudizio.

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