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Se la salute pubblica smette di essere un investimento per il governo
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Se la salute pubblica smette di essere un investimento per il governo

Leggendo i dati e le cifre contenute nel nuovo Documento di economia e finanza si intravede un futuro problematico per la sanità. Dal 2023 una decisa inversione di tendenza che porterà il rapporto Spesa/Pil al livello più basso mai registrato negli ultimi trent’anni.

Barbara Cittadini, Presidente Nazionale Aiop

 

Ad oggi, le prospettive di spesa in favore del comparto della salute in Italia non sono positive.

È, infatti, a questa dura conclusione che si perviene leggendo il Documento di economia e finanza, da poco approvato dal Governo, che, appunto, ci offre un quadro piuttosto preciso sulle previsioni di spesa in ambito sanitario.

Si tratta, come è naturale, di un documento che non può che tener conto del peggioramento del quadro economico determinato da diversi fattori: l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ma, anche, l’aumento dei prezzi dell’energia, degli alimentari e delle materie prime, l’andamento dei tassi d’interesse e la minor crescita dei mercati di esportazione dell’Italia.

Tali fattori, purtroppo, creano oggi condizioni generali ed economiche meno favorevoli di quanto fossero in occasione della pubblicazione della Nota di aggiornamento al Def (NADEF) nello scorso settembre 2021.

Nelle cifre di quello che è il principale strumento di programmazione della politica economica e di bilancio del Governo emerge, quindi, una forte tendenza al ridimensionamento della quota di risorse pubbliche dedicate alla salute per il triennio 2023-2025.

La sintesi di quanto previsto è in due numeri: la spesa pubblica in sanità diminuirà a un tasso medio annuo dello 0,6% mentre, invece, nel medesimo arco temporale, per il Pil si prevede una crescita in media del 3,8%. 

Questa prospettiva, per essere meglio compresa nella sua gravità, va collegata al costante decremento della spesa sanitaria; siamo partiti nel 2020 da un confortante 7,5% del Pil, che lasciava sperare, finalmente, in un riallineamento ai bisogni reali della sanità italiana e ad un avvicinamento ai livelli di riferimento di Francia (9,3%), Germania (9,9%) e Regno Unito (8%) e arriviamo invece al 6,6% stimato per il 2023, fino a giungere addirittura al 6,2% previsto per il 2025.

A leggere questi numeri, si desume che la sanità e, dunque, la salute pubblica, non sia più una priorità del governo.

Un livello così basso del rapporto spesa/Pil, infatti, non si registrava da più di trent’anni, neanche nell’ultimo, drammatico, periodo di crisi economica internazionale, che nel 2012 è culminato nella Spending review che si è abbattuta come una scure su famiglie, imprese e, ovviamente, strutture sanitarie e pazienti.

L’indicatore della spesa sanitaria sul Pil è, per un Paese, il segno tangibile di quanto questo sia disposto ad investire per la salute dei suoi cittadini.

Questa condizione - non ci stancheremo mai di ribadirlo, anche, al legislatore -, è ancora più fondamentale dopo due anni di una pandemia che ha messo a dura prova le nostre strutture e l’intero sistema paese.

Si tratta, tuttavia, di una condizione della quale le istituzioni di governo non pare abbiano coscienza.

Stiamo parlando, oltretutto, di un settore solido, una forza trainante della ricchezza nazionale, alla cui creazione contribuisce restituendo circa 100 miliardi di euro di valore aggiunto diretto e quasi 78 miliardi di valore aggiunto del suo indotto economico.

Nel complesso, l’apporto della filiera Life Sciences italiana corrisponde al 10% del PIL nazionale.

È necessario fare molta attenzione.

Nel capitolo del DEF dedicato alle iniziative di riforma per il rilancio dell’economia del Paese, si tratteggia un progetto di rinnovamento del settore sanitario che dovrebbe, negli intenti governativi, portare ad un sistema più efficiente, resiliente ed inclusivo, in grado di superare i limiti e le vulnerabilità messe a nudo dalla pandemia, ridimensionando, nel contempo, le disparità territoriali nell’erogazione dei servizi.

Da una lettura attenta delle tabelle che illustrano consuntivi e dati tendenziali, emerge però con chiarezza come, dopo un incremento di risorse stanziate per far fronte alla pandemia, si faccia strada un’inversione di tendenza a partire dall’anno 2023: si passa infatti dai 131,7 miliardi del 2022 ai 129,5 del 2025.

A questo si aggiunga il problema dell’incremento dei costi dell’energia (dei quali abbiamo parlato diffusamente nel numero 442 di InformAiop) e, più in generale, del fondato timore di un ulteriore, importante, balzo dell’inflazione.

Va detto che il nostro Sistema Sanitario Nazionale, rispetto a quello di altri Paesi, risulta, comunque, essere di buon livello.

Ma va, altresì, rilevato che è nato e si è strutturato in anni nei quali la domanda di salute dal punto di vista dell’età media della popolazione e, quindi, della gestione di una fase della vita nella quale i bisogni sanitari aumentano, delle opportunità diagnostiche, terapeutiche, tecnologiche e dell’organizzazione era ben differente.

Oggi vi è un disperato bisogno di aggiornamento rispetto alle esigenze attuali e reali.

Questo significa aggiungere e non togliere risorse.

In Italia, però, la spesa corrente in sanità dal 2008 al 2019 è rimasta pressoché invariata, mentre la pianificazione odierna della spesa corrente post-investimenti Pnrr va, addirittura, verso una diminuzione in rapporto al Pil.

Questo implica che il Paese dovrà gestire un numero maggiore di strutture – quelle previste dalle progettualità del PNRR - ma con risorse inferiori.

I segnali che oggi desumiamo dalle scelte della politica sono, purtroppo, poco rassicuranti.

 E i soldi del Pnrr sono destinati ad investimenti, mentre la sanità ha bisogno di spesa corrente e di continuità. 

Il rischio concreto è quello di circondarci di “cattedrali nel deserto”, che non saremo in grado di “abitare”, mentre, invece, grava su di noi l’imperativo di dare una risposta maggiormente adeguata alle esigenze di cura della popolazione, garantendo la presa in carico globale della persona attraverso, tra le altre cose, differenti tipologie di assetti assistenziali.

Domanda di salute che registra, da troppo tempo, un gap drammatico con l’offerta che lo Stato riesce a garantire, attraverso la componente di diritto pubblico e quella di diritto privato, perché le risorse che destina, realmente, a prestazioni e servizi, al netto del triennio 2019 -2022, sono state insufficienti e decrescenti e torneranno nel 2024 ad essere, addirittura, inferiori a quelle del 2019.

La pandemia, evidentemente, non ci ha insegnato tutto quello che avrebbe dovuto.

Dobbiamo cogliere, in altri termini, l’opportunità di riorganizzare il nostro SSN valorizzando, anche, il ruolo della componente di diritto privato del SSN che, soprattutto in questo anno, ha dato un’ulteriore dimostrazione di essere una parte fondamentale del sistema e che siamo orgogliosi di rappresentare.

Aiop, da parte sua, continuerà a far sentire la sua voce in tutte le sedi decisionali, con ancora maggior forza e convinzione in considerazione delle previsioni riscontrate nel Def, con l’obiettivo di incidere e cambiare l’approccio culturale nei confronti della componente di diritto privato in sanità del SSN.

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