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Sanità, gestione demagogica e folle
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Sanità, gestione demagogica e folle

L'intervento del Presidente dell'Aiop Calabria, Enzo Paolini su Il Quotidiano di Calabria

Enzo Paolini, Presidente Aiop Calabria

OK. Basta con la demagogia un tanto al chilo per rimettersi le coscienze e girare la testa davanti alle continue ruberie in sanità. Questo è l'atteggiamento di chi, sul presupposto che la sanità è un servizio pubblico, ritiene sufficiente dire stop ai privati per darsi la patente di buon amministratore.
Non torna. Dobbiamo sempre continuare a ribadire una cosa che alla classe dirigente politica che gestisce i soldi pubblici piace poco: le prestazioni rese dalle strutture private non si pagano.
O, meglio, vengono pagate esattamente come quelle rese dagli ospedali pubblici. Cioè dallo Stato attraverso la fiscalità generale. Solo che costano di meno. Per la precisione circa il 40% delle prestazioni costa il 12% circa della spesa. Le risorse ci sono e sarebbero sufficienti per assicurare un servizio sanitario efficace ed efficiente, ma se un ospedale pubblico che produce prestazioni che, a tariffa, cioè per legge, varrebbero 10 e viene invece pagato 80, è chiaro che la coperta diventa corta. In questo contesto ai laboratori vengono tolti i rimborsi per i servizi primari, le analisi di base, come se i cittadini le richiedessero per diletto. E quindi, per colpa di queste scelte scellerate le devono pagare. Ma la decisione non viene dal comparto ambulatoriale privato, bensì dagli uffici regionali. Questo vale per i laboratori e per le Case di cura.
Oggi scoppiano i casi mediatici ma noi lo diciamo da anni. Se si coprono indiscriminatamente i costi impropri di ospedali e strutture pubbliche senza porre rimedio a niente, ma solo togliendo ogni anno un po' di risorse alla sanità privata è come tentare di svuotare il mare con un bicchiere. Il debito continua ad aumentare ed il servizio - per quantità e qualità - a diminuire. I dati sono facilmente verificabili: mentre la spesa complessiva aumenta, i tagli ai privati portano un decremento di risorse tra il 10% ed il 30% circa negli ultimi 5 anni.
Tuttavia vi sono meno servizi, i pronto soccorso scoppiano, l' emigrazione sanitaria aumenta ed il debito non rientra. Vuol dire che quello da tagliare non è il ramo del privato.
E beninteso non mi sogno di dire che in questo campo non vi siano problemi, malasanità e speculazioni ricorrono.
Anche se sull' incidenza statistica del malaffare nel settore privato, al confronto del pubblico avrei da dire, non penso tuttavia sia utile questo tipo di polemica. Negligenze e reati vanno perseguiti con il massimo rigore ed intransigenza e con priorità assoluta, nel settore sanitario.
Detto questo, sbaglieremmo grossolanamente se pensassimo che il problema sia solo questo e non la gestione complessiva di una politica sanitaria carente sotto il profilo della organizzazione della rete ospedaliera, delle emergenze, della emigrazione, dei servizi territoriali, della medicina di base, dell' assistenza farmaceutica, della dotazione di personale. Tutto ciò comprende, anzi è la conseguenza della tolleranza se non della connivenza con la corruzione. Per questo capisco e condivido la priorità che ha proclamato il nuovo Commissario al piano di rientro. Il generale Cotticelli ha detto più volte - e pubblicamente -che il disastro della sanità calabrese è determinato dai doppi pagamenti per le stesse prestazioni e dagli interessi che si pagano in seguito a cause promosse dagli avvocati delle strutture private. Ho parlato con il generale Cotticelli del quale apprezzo la lucida determinazione di moralizzazione del settore. E convengo sull' opportunità di indagini condotte con tutti i mezzi investigativi possibili.
Indagini che noi chiediamo ed anzi pretendiamo. Ma, assodato questo, se poi vi sono casi di pagamenti dovuti, addirittura ordinati dai Tribunali dello Stato con sentenze definitive non eseguite, la responsabilità dell' inevitabile danno erariale per interessi enormi non può essere attribuita ai creditori ed ai loro avvocati, ma agli infedeli impiegati e dirigente pubblici che vanno anch' essi denunciati e perseguiti. So bene che i Commissari pensano questo e non v' è ombra tra di noi, ma collaborazione, pur nel dissenso su altri temi.
Come quello della assegnazione delle risorse che soffre di due equivoci di fondo, ancora difficili da risolvere nel nostro Paese. Il primo è quello secondo il quale sarebbe la disponibilità di spesa che determina il livello dell' assistenza sanitaria. E' esattamente il contrario, cioè è il fabbisogno di cura e assistenza - che è in continuo divenire per una serie di fattori - che deve determinare l' entità delle risorse che lo Stato deve riservare all' assistenza sanitaria.
Non lo dico io, lo dice la Costituzione.
L' altro equivoco riguarda più specificamente la sanità privata che si vuole "integrativa" di quella pubblica. Il luogo comune è che il privato dovrebbe fare solo quello che non fa il pubblico oppure, come dice un' altra sciocchezza popolare anzi populistica, non prendersi solo le attività remunerative lasciando al pubblico quelle costose. Ambedue affermazioni contestabili ma - cosa più importante - errate nel principio. Viviamo in un mondo dove si enfatizzano al massimo - e giustamente -il merito, la competizione, la concorrenza cioè quelle cose che aumentano la qualità e abbassano i costi. Solo in sanità non dovrebbe - non deve - esserci concorrenza ma una piatta integrazione, una sorta di monopolio concordato che sterilizza qualsiasi stimolo al miglioramento. Un pessimo servizio per il cittadino.
Io invece penso ad un sistema sanitario ove la mano pubblica assicura e garantisce tutti i servizi, e consente al privato di competere imponendo per legge gli stessi standard tecnologici, organizzativi e strutturali, e assicurandogli, per davvero e senza tetti, le stesse tariffe. Un sistema virtuoso che garantisce la libera scelta del cittadino. E' chiaro che per far questo occorre una classe dirigente capace ed inflessibile sul fronte del rispetto delle regole da parte di tutti. E magari anche di avere il coraggio di cambiare le cose e sparigliare rispetto agli interessi ed alle incrostazioni che letteralmente e dolosamente costringono i calabresi ad andare a chiedere cure fuori regione. Io lo ripeto -inascoltato-da qualche anno. La Calabria paga oltre trecento milioni all' anno alle altre Regioni per cure che potrebbero - tutte - essere rese in Calabria. Una parte di queste prestazioni è fisiologicamente resa altrove e non recuperabile, ma un' altra parte, la più rilevante, oltre i due terzi, è indotta dalla politica dei tetti. Ed è un fenomeno semplicissimo da spiegare e da capire.
Se una struttura - pubblica o privata che sia - non può rendere prestazioni oltre un certo tetto, che raggiunge, ad esempio nel mese di agosto, deve per forza, o meglio per ordine della Regione, rispondere al paziente che ha due alternative: o aspettare, con la conseguenza di incrementare la lista d' atte sa, o andare fuori e obbligare la Regione Calabria a pagare la prestazione ad un' altra Regione. Una follia sempre più incomprensibile di fronte al suggerimento ed alla richiesta che noi avanziamo da anni, quella cioè di consentire alle strutture di casa di rendere queste prestazioni ai calabresi oltre i tetti fissati e pagarle la metà. Si otterrebbero tre vantaggi: la libera scelta del cittadino, il risparmio della Regione Calabria, l' incremento di produttività di aziende che garantiscono servizio pubblico e lavoro.
Perché non si fa? Conviene mandare i soldi ad altre Regioni? Non si riesce per incapacità? E' più vantaggioso elettoralmente farei proclami salvo poi gestire il denaro nella cosiddetta compensazione tra Regioni? Qualunque sia la risposta è un danno, anzi un crimine, compiuto ai danni di noi tutti calabresi.
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