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Licenziamento legittimo anche se il lavoratore con la sua condotta non ha arrecato alcun danno patrimoniale
Cass. Civ. Sez. Lav. n. 23318 del 29 agosto 2024.
Sonia Gallozzi, consulente giuslavorista Sede Nazionale.
La Corte di Cassazione, con la recentissima pronuncia in esame, ha parzialmente accolto il ricorso di Monte Paschi di Siena avverso la decisione della Corte di appello di Catanzaro che aveva sancito la reintegra di un direttore di filiale licenziato nel 2017 per avere questi, tra l’altro, assegnato, per motivi di budget, una carta di credito non richiesta a una cliente, domiciliando la carta presso la filiale e conservandola ivi col relativo PIN; effettuato accrediti fittizi sui conti di alcuni clienti, annullando poi le operazioni; addebitato somme sul conto di un ignaro cliente per un importo corrispondente agli accrediti operati in favore di altri clienti a titolo di rimborso spese varie, in quanto – secondo la Corte territoriale - la condotta risultava “del tutto scevra di offensività e, come tale, priva di rilievo disciplinare”.
Nel ribaltare la sentenza, la Suprema Corte rammenta innanzitutto che il comportamento scorretto del dipendente di una banca, a prescindere dal verificarsi di un effettivo danno di natura patrimoniale, può comunque “ledere l’affidamento che non solo il datore di lavoro ma anche il pubblico devono riporre nella lealtà e correttezza del personale degli istituti di credito” (Cass. n. 9576 del 2001). Dunque, “indipendentemente dal conseguimento di un utile personale”, il comportamento di un dipendente bancario “posto in essere in violazione delle procedure interne, dei diritti dei correntisti e dello specifico interesse datoriale al mantenimento di una affidabile e trasparente organizzazione del lavoro” è “idoneo a compromettere irrimediabilmente l’elemento fiduciario sotteso al rapporto di lavoro” (Cass. n. 6901 del 2016). In particolare, insiste la Cassazione, la Corte di appello ha trascurato di considerare il costante indirizzo secondo il quale, in tema di licenziamento disciplinare, è irrilevante, ai fini della valutazione della proporzionalità tra fatto addebitato e recesso, l’assenza o la speciale tenuità del danno subito dal datore di lavoro. Si tratta infatti di elementi da soli “affatto sufficienti ad escludere la lesione del vincolo fiduciario, perché ciò che rileva è la ripercussione sul rapporto di lavoro di una condotta suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, in quanto sintomatica di un certo atteggiarsi del dipendente rispetto agli obblighi assunti”.
Tale principio – evidenzia la scrivente – è estensibile analogicamente anche agli operatori della sanità, la cui condotta si riverbera necessariamente su un’utenza che deve poter fare affidamento su tali figure. Specificano inoltre gli Ermellini che, quando vengono contestati al dipendente diversi episodi rilevanti sul piano disciplinare, il giudice del merito non deve esaminarli atomisticamente, ma deve valutare complessivamente la loro incidenza sul rapporto di lavoro. Al contrario, la Corte di merito, dopo aver escluso che fosse emersa la prova che il direttore avesse realizzato le condotte oggetto delle “prime tre contestazioni disciplinari”, ha scrutinato le altre contestazioni giungendo, per tutte, alla conclusione che fossero prive di rilievo disciplinare in quanto “scevre di offensività”, lungi dal verificare se tali condotte integrassero o meno degli inadempimenti rilevanti (artt. 2119 c.c. o 3 l. n. 604 del 1966). La sentenza impugnata è stata quindi cassata in relazione alle censure ritenute fondate, con rinvio a diversa Corte di Appello, per un nuovo esame della controversia secondo i principi richiamati in motivazione.
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